Manifesto: Così l'università rischia il blocco
RICERCA Crescono le adesioni allo sciopero bianco
Roberto Ciccarelli
In maniera discreta, ma costante, cresce l'opposizione alla riforma Gelmini sull'università tra i professori ordinari ed associati. Sono 1198 i docenti che hanno fino ad oggi aderito all'appello della conferenza dei presidi delle facoltà di scienze e tecnologie del 6 maggio scorso. Nel documento pubblicato sul sito dell'associazione «Universitas futura» dichiarano l'indisponibilità a sostituire i ricercatori che, a partire dal prossimo anno accademico, si asterranno dalla didattica non obbligatoria per legge. Si impegnano, inoltre, a dimettersi da tutte le cariche «che non costituiscono dovere d'ufficio».
Da quando è in discussione in parlamento il disegno di legge 1995, questo è il primo atto ufficiale da parte dei docenti che si dicono «indisponibili» a partecipare allo smantellamento dell'università pubblica. Qualcosa di molto simile sta emergendo anche al livello delle facoltà. Solo negli ultimi giorni, tutti gli ordinari e gli associati delle facoltà di lettere e filosofia della Sapienza, di Roma Tre, di Salerno e di Palermo, tutte le facoltà dell'Università di Calabria, Ingegneria di Cassino, Economia a Trento, Scienze Politiche a Padova, Scienze a Trento e Architettura della Sapienza si sono espressi con decisione a favore dell'astensione. Con l'approssimarsi della scadenza del 15 giugno, termine fissato dal Ministero dell'università per stabilire quali, e quanti, insegnamenti potranno essere attivati nell'offerta formativa il prossimo ottobre, questi segnali si moltiplicheranno. Sono tuttavia ancora molti i dubbi che i ricercatori esprimono sul grado di coinvolgimento dei docenti. Si dice che la riforma in arrivo accentri responsabilità e poteri nelle loro mani, ma non mancano i tentativi di coinvolgerli nella protesta.
I ricercatori, invece, procedono spediti verso il primo sciopero della storia dell'università italiana. La rete 29 aprile che ne coordina la mobilitazione in più di 70 atenei sta conducendo un censimento che rivela l'attuale ampiezza della protesta tra gli appartenenti alla «terza fascia» della docenza. I dati raccolti riguardano fino a questo momento 20 atenei su 93, per un totale di 118 facoltà su 634. Sono 4704 i ricercatori, pari al 64,17 per cento, ad essersi dichiarati indisponibili a ricoprire volontariamente, e gratuitamente, le cattedre vacanti. Un bilancio definitivo dovrebbe giungere prima del grande deserto estivo, forse entro la giornata di mobilitazione indetta dalle sigle sindacali e dalle associazioni di categoria prevista il prossimo 1 luglio.
La ragione prevalente, per non dire esclusiva, che timidamente sta portando la protesta oltre il muro dei ricercatori è l'impatto che la manovra finanziaria avrà sugli stipendi, sulla progressione delle carriere e sulla rilevanza sociale e scientifica dell'università. Stando ai calcoli dei ricercatori, per non dire di quelli fatti dalla Flc-Cgil, gli stipendi saranno bloccati per il triennio 2011-2014, al termine del quale non è previsto alcun recupero riconosciuto dall'Istat. L'associazione dei professori e dei ricercatori dell'università dell'Insubria (Como-Varese) prevede che la perdita economica per ciascun ricercatore potrà arrivare a 50 mila euro nel periodo lavorativo, dalla liquidazione verranno inoltre sottratti più di 9 mila euro e il 5 per cento dalla pensione. Un associato perderà invece 44 mila euro, un ordinario 13.500 ma quasi nulla dalla pensione, oltre a 2.400 una tantum per la riduzione aggiuntiva stabilita per i redditi oltre i 90 mila euro.
Condizioni particolarmente vessatorie perchè, al contrario di altre categorie del pubblico impiego, ai docenti e ai ricercatori universitari «si chiede un sacrificio senza precedenti» che si potrarranno ben oltre il periodo di austerity annunciato dal governo. La Conferenza dei Rettori è intervenuta flebilmente ancora ieri chiedendo di esentare dal blocco degli scatti ricercatori e docenti, augurandosi che l'iter della legge in Senato - che giudica comunque positivo - abbia un'accelerazione. Pur preoccupanti, queste previsioni diventano catastrofiche per i ricercatori precari. Non è ancora facile quantificare quanti tra di loro, per i tagli al fondo ordinario di finanziamento, perderanno il lavoro entro il prossimo anno, ma è certo che il massiccio pensionamento dei docenti previsto nel prossimo quadriennio non libererà posti per nuove assunzioni, salvo qualche centinaia di ricercatori a tempo determinato promessi dalla Gelmini. Il progetto per l'università e la ricerca che sta emergendo è una riduzione consistente e permanente del corpo docente, il suo irreversibile impoverimento e la dequalificazione scientifica. Un destino comune agli enti pubblici di ricerca soppressi come l'Isae, l'Ispels e l'Insean che hanno aderito alla manifestazione di oggi pomeriggio, insieme alla Rete 29 aprile.