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Repubblica: Il grande alibi dell'integrazione

DOPO lo sparo di Rosarno, la sparata della Gelmini. Le vittime sono sempre le stesse: gli immigrati. In Calabria i fucili dei balordi e a scuola i tuoni e i fulmini della Gelmini. Stabilendo che in ogni classe gli stranieri non debbono superare il trenta per cento, la ministra dell´Istruzione vuole preservare l´identità italiana degradandola ai confini di una Italietta che non esiste, di una Brianza gonfiata come la rana.

09/01/2010
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la Repubblica

Francesco Merlo

Le vittime sono sempre le stesse: gli immigrati. In Calabria i fucili dei balordi e a scuola i tuoni e i fulmini della Gelmini. Stabilendo che in ogni classe gli stranieri non debbono superare il trenta per cento, la ministra dell´Istruzione vuole preservare l´identità italiana degradandola ai confini di una Italietta che non esiste, di una Brianza gonfiata come la rana.
L´idea di fondo è che gli immigrati sono troppi e che dunque bisogna eliminarne una parte e ovviamente per il loro bene, «per integrarli meglio»: «per integrarti meglio, figlia mia» dice la nonna lupo.
Dunque, per integrarli meglio cacciamoli dalla campagne calabresi dove questi braccianti assicurano ricchezza a basso costo. E per meglio insegnare loro a stare al mondo, allontaniamo gli eccedenti dalle scuole nonostante assicurano occasioni di confronto, di stimoli, di curiosità verso gli altri, e anche di orgoglio nazionale visto che è da noi italiani che sono stati sedotti ed è la lingua italiana che hanno scelto come destino. I professori raccontano di bimbi che imparano a fare gli origami con i tovaglioli e a usare gli ideogrammi dai loro compagni cinesi, e di piccoli maghrebini che insegnano il francese ai milanesi, e ancora di giamaicani che conversano in inglese con i romani.
È vero che la presenza di immigrati di varie nazionalità può rallentare lo svolgimento dei più tradizionali programmi ed è vero che una scuola dove ci sono livelli diversi e lontani tende a modularsi sul livello più basso. Ma è un problema che riguarda la didattica e gli insegnanti che, in tutto il mondo, vengono appunto riqualificati e adattati alla crescita delle presenze straniere. Al contrario in Italia sono umiliati e addirittura orientati verso il modello regionale, con l´idea che i professori debbano superare l´esame di dialetto e con l´obiettivo di avere una scuola "parteno siculo borbonica", un´altra "brianzola austriacante", e un´altra ancora "papalina tiberina".
Come si vede è l´insieme che spiega i singoli atti della Gelmini. È la sua politica generale sulla scuola che illumina anche quest´ultimo annunzio sulle quote del trenta per cento di stranieri. Eppure anche i nostri bambini, prima di andare a scuola, non parlano l´italiano e sono stranieri, specie se vengono da zone degradate, dalle periferie a forte connotazione regionale. A scuola si entra tutti stranieri e si esce tutti italiani, ma solo se si esce cittadini del mondo.
La Gelmini vuole invece che gli stranieri rimangano stranieri. E cosa ne farà degli eccedenti? Ci sono quartieri e interi paesi in Veneto e in Lombardia, ma c´è anche l´Esquilino a Roma per esempio, dove gli extracomunitari sono ormai la larga maggioranza. Solo la scuola può integrarli, soprattutto se si continua a negare loro la nazionalità e i diritti civili. Dove possono imparare a diventare italiani se non a scuola?
Dispiace dirlo, ma questo è lo stesso spasmo mentale dei fascio-futuristi che contro l´incremento demografico proponevano la guerra come igiene del mondo. Così la Gelmini propone le quote di sbarramento del trenta per cento come igiene del mondo della scuola.
Tutti sanno che è fatta di scuola l´Unità d´Italia che andiamo a celebrare. Da Bolzano a Cefalù è di nuovo la scuola che deve unire italiani e immigrati, la scuola che già è stata usata contro il regionalismo in chiave religiosa e antropologica, e contro le vecchie lingue strutturate, contro i dialetti. Le nostre scuole non avevano quote di sbarramento per i meridionali che al contrario cercavano. Li seducevano e li obbligavano proprio perché erano scuole sorte sul tramonto delle culture premoderne e localistiche, contro il delitto d´onore, contro la mafia Robin Hood, tutte cose che allora erano vere e resistenti come oggi sono vere e resistenti le tradizioni dei nuovi immigrati. Ebbene, se l´Italia l´abbiamo fatta a scuola è ancora a scuola che rifaremo o disfaremo l´Italia. È la scuola che deve rivedere l´identità nazionale, adattare la storia, la geografia, la lingua e la religione nell´epoca delle grandi migrazioni, del meticciato, della contaminazione. Unità d´Italia significa aprire e non chiudere la scuola alle lingue degli immigrati, alle loro culture e alle loro religioni. Solo la scuola può dirozzarci tutti, anche i ministri che sbagliano gli accenti in Senato.
E tanto per non contrapporre alla scuola della Gelmini i soliti modelli di Francia e di Inghilterra, che per i brianzoli sono mondi ormai perduti perché in mano agli apolidi di mille colori, ricorriamo alla Svizzera, che è un luogo caro ai leghisti perché la Svizzera sono le banche, i soldi, le fughe di capitali, l´intolleranza calvinista, le valli alpine senza minareti e palme mediterranee... Ebbene, la scuola svizzera è diventata l´eccellenza europea proprio perché vuole gli stranieri, perché li esibisce come un onore e come un vanto, perché immagina un futuro internazionale per ogni ragazzo che forma. Il famoso collegio Le Rosey che probabilmente è la scuola più prestigiosa, la meglio frequentata (e la più cara) del mondo ha addirittura fissato, - apra bene le orecchie, ministro Gelmini! - una quota insuperabile del dieci per cento, ma è una quota al contrario della sua. Gli svizzeri non vogliono una nazionalità che superi il dieci per cento del totale, non permettono che ci sia una nazionalità di maggioranza, vietano la formazione di una cultura dominante, sanno che l´identità della scuola svizzera si difende contenendo anche la componente svizzera dentro il dieci per cento. Perché la scuola insegna a stare al mondo, e non si può neppure immaginare una Parigi che fissi quote di sbarramento scolare ai suoi algerini e ai suoi vietnamiti… Solo la Gelmini in Europa immagina un mondo senza mondo, un mondo im-mondo.


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