Messaggero: «Così la ricerca muore, salvatela»
Appello del fisico Cabibbo: fate spazio ai giovani bravi o scappano via
di EMANUELE PERUGINI
ROMA - «È un vero e proprio disastro. Continuare a indebolire la ricerca di base significa tagliare il ramo sul quale siamo seduti. Prima o poi cadremo dall’albero». Nicola Cabibbo, fisico e presidente dell’Accademia Pontificia delle Scienze, non usa mezzi termini per commentare il continuo taglio delle risorse destinate alla ricerca di base nel nostro paese. «Alla lunga pagheremo molto caro questa scelta e forse abbiamo già cominciato a farlo».
Cosa sta succedendo alla nostra ricerca?
«La stiamo lasciando invecchiare per vederla lentamente morire. Sono anni ormai che è in corso un processo che sembra essere irreversibile. Non c’è quasi più nessun ricambio generazionale all’interno del mondo della ricerca e gli scienziati più anziani non sanno letteralmente a chi trasmettere le loro conoscenze».
Non ci sono ricercatori giovani in grado di farlo?
«No, assolutamente. Ci sono dei giovani bravi e in gamba, ma non riescono a trovare spazio. Troppo poche le risorse, troppo precari i contratti, per permettere loro di consolidare le posizioni e di fare carriera. Preferiscono andarsene via, all’estero. Eppure, sono loro i rimpiazzi che servono per sostituire i più anziani, ma con le ultime leggi finanziarie il nostro paese non ha fatto altro che chiudere in faccia loro la porta. Gli Enti di ricerca fanno fatica ad andare avanti, le università sono alla corda e fanno leva, per risparmiare nel breve termine, sui precari. Una scelta disastrosa. Ora campiamo di rendita e godiamo dei frutti degli investimenti fatti nel passato. Ma tra pochi anni non avremo più un bacino di risorse tale da poterci garantire lo stesso livello di competitività di cui godiamo oggi. Tagliare sulla ricerca di base significa tagliare sulle conoscenze dell’intero paese e sulla sua capacità di rinnovarsi. Alla lunga anche la ricerca applicata rimarrà a secco».
Per i giovani l’unica strada è quella di andare all’estero?
«Mi sembra evidente. Sono sempre di più quelli che se ne vanno. Gli esempi non mancano. L’anno scorso il concorso per alcuni posti di ricercatore al CNRS, il consiglio nazionale delle ricerche francese, sono stati vinti per la metà da giovani italiani. Emblematico poi il caso dei finanziamenti distribuiti dallo European Research Council in cui gli italiani che hanno vinto gli assegni di ricerca hanno usato quelle risorse per andare a sviluppare i loro progetti all’estero».
Cosa si deve fare per invertire la rotta?
«Intanto fermare la situazione e promuovere la sostituzione del personale anziano con quello più giovane, e poi cominciare a rifinanziare l’intero sistema, o almeno a evitare di sottoporlo, ogni anno ad un continuo taglio delle risorse. I tagli alla ricerca non sono altro che continue coltellate alla crescita del paese».
Eppure dalle cronache dei giornali emergono anche continue storie di scandali e di sprechi. Lei non crede che il mondo della ricerca e dell’Università debba fare la sua parte?
«A me sembra che queste storie, vengano tirate fuori per giustificare l’ennesimo intervento di taglio delle risorse. Gli sprechi e gli scandali ci sono, è vero, ma non rappresentano certo la realtà di un settore che, nonostante le difficoltà riesce davvero a competere a livello internazionale. È anche vero che proprio la mancanza di risorse, la difficoltà a crescere e a essere più competitive favorisce in certi casi alcune situazioni che non fanno altro che peggiorare la situazione, come per esempio in alcuni settori, il nepotismo. Ma non è con i tagli che si risolvono i problemi. Semmai è il contrario».