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ScuolaOggi: Fuori Onda

Fabrizio Dacrema

12/03/2009
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ScuolaOggi

L’approvazione definitiva da parte del Consiglio dei Ministri dei primi due Regolamenti Gelmini è avvenuta negli stessi giorni in cui si è diffusa la notizia della bocciatura da parte dei genitori del modello di scuola minima in essi contenuto. La stroncatura del modello delle 24 ore nella scuola primaria, sponsorizzato dal Ministro e scelto nelle iscrizioni dal 3% degli utenti, è un segnale evidente di quanto il neolibersimo scolastico del governo sia fuori sintonia rispetto alle attese del paese immerso nella crisi economica. Il quadro non muta nemmeno se verranno confermate le timide aperture del Ministro avanzate nell’ultimo incontro con i sindacati: correzioni del tutto insufficienti e provvisorie che non spostano di un euro l’entità insostenibile dei tagli previsti nel prossimo triennio, il cui numero complessivo anche per il prossimo anno scolastico (42.100 posti) rimane invariato. Solo cambiando la manovra Tremonti (legge 133/2008) si possono ottenere risultati effettivi. Per questo occorre una ripresa di iniziativa del movimento che già quest’autunno ha messo in difficoltà il Governo grazie all’alleanza tra mondo della scuola, autonomie locali e forze sociali. Decisiva a questo proposito è la riuscita delle iniziative della Cgil, sciopero del 18 marzo e manifestazione del 4 aprile, perché si pongono l’obiettivo di cambiare la politica sociale ed economica del governo.

Il Governo è complessivamente fuori onda rispetto alla crisi. Non la fronteggia con sufficienti politiche anticicliche e, a differenza di quanto stanno facendo gli altri paesi avanzati (USA in testa), non considera istruzione, formazione e ricerca come parte essenziale e strategica di quegli investimenti pubblici da mettere in campo per uscire dalla crisi rafforzando la competitività del sistema produttivo. L’intervento pubblico nella formazione addirittura arretra in modo consistente. Il Governo sottrae risorse, già fortemente insufficienti, al sistema della formazione permanente, invece indispensabile per politiche attive del lavoro capaci di sviluppare competenze e occupabilità per le persone che devono affrontare processi di mobilità, riconversione e reinserimento professionale. Riduce il tempo scuola nel primo ciclo dell’istruzione e cancella le compresenze, spesso indispensabili anche per garantire la copertura della mensa nei moduli con rientri pomeridiani. Produce in questo modo un arretramento del welfare scolastico che peggiora ulteriormente le condizioni di molte famiglie, il cui reddito, già colpito da cassa integrazione e licenziamenti, non può sostenere anche i costi derivanti dalla riduzione del tempo scuola e dal venir meno o dall’aumento dei costi di servizi scolastici quali la mensa. Un problema segnalato con forza anche da Enti Locali e Regioni in gravi difficoltà, a causa dei tagli subiti, ad intervenire per supplire lo Stato che arretra e scarica sulle autonomia locali i costi essenziali per mantenere la qualità delle scuole e dell’integrazione dei soggetti più deboli. La riduzione delle risorse si farà sentire in modo ancora più drammatico nel Mezzogiorno dove il tempo pieno è presente in percentuali molto basse e dove invece dovrebbe essere ampliato in modo consistente per combattere la dispersione e i bassi livelli di apprendimento.

Decisamente preoccupanti in questi tempi di crisi sono gli effetti sulla tenuta educativa e sociale delle scuole del mix di misure contenute nei Regolamenti Gelmini: aumento del numero degli alunni per classe, cancellazione delle compresenze, ritorno all’insegnamento esclusivamente frontale, indebolimento della cooperazione dei docenti. Il tutto in una situazione in cui le classi sono più numerose, eterogenee, multiculturali. Non è difficile immaginare le conseguenze: aumento dell’insuccesso scolastico e della selezione, accentuazione dei problemi comportamentali e disciplinari. La classica situazione in cui i messaggi semplificati e populistici della destra, dalle classi ponte a quelle differenziali, possono trovare maggiore consenso fino a far diventare allettanti le proposte del disegno di legge Aprea sulle scuole-fondazioni e il buono scuola.
Il disegno politico di destrutturazione della scuola pubblica appare evidente nello specifico accanimento di cui è fatto oggetto la scuola primaria: non avrà gli organici non solo per rispondere per intero alle richieste delle famiglie, ma nemmeno per garantire il tempo scuola oggi erogato, sarà imposto il maestro unico e cancellate le compresenze. Questa volontà distruttiva del segmento scolastico italiano più pregiato si spiega certamente con la necessità di far tornare i conti dei tagli, ma rivela anche il bisogno ideologico di umiliare l’esperienza educativa italiana che più ha realizzato i valori costituzionali della scuola pubblica.

Per queste ragioni l’obiettivo fondamentale della mobilitazione non può che essere la riconquista di tutte le risorse professionali necessarie a garantire i modelli scolastici di qualità: tempo pieno e prolungato, moduli, compresenze. Ottenute le risorse, l’autonomia scolastica farà il resto, il maestro unico, ad esempio, non può essere imposto dalla Stato, se la Gelmini lo vuole fare deve prima cambiare la Costituzione. Gli insegnanti della scuola primaria italiana, sulla base dei risultati conseguiti, sono convinti che il gruppo o la coppia docente corresponsabile siano preferibili al maestro unico/prevalente. Il Ministro Gelmini ha mai utilizzato argomenti, esperienze, ricerche, dati per convincerli del contrario? Non risulta. È quindi assai probabile che continueranno ad utilizzare le prerogative dell’autonomia didattica e organizzativa (art. 5 Dpr 275/99) per continuare così.
Regioni ed Enti locali, intanto, hanno imposto al Governo un netto arretramento sul terreno delle competenze in merito alla rete scolastica ed alla programmazione dell’offerta formativa. Il Governo dopo aver fatto marcia indietro sul commissariamento per decreto delle Regioni, ora, nell’ultima versione del decreto, rinuncia definitivamente ad imporre loro criteri e parametri.

Ogni decisione in materia è rinviata ad una prossima intesa in Conferenza Stato Regioni, dove l’ultima parola spetterà inevitabilmente alle Regioni, cui l’art. 117 della Costituzione attribuisce le competenze in materia di riorganizzazione della rete scolastica. L’ultimo colpo ai tentativi del Governo di ingerire nelle prerogative delle Regioni è stato inferto dal pur cauto Consiglio di Stato, che ha sì dato parere favorevole, ma ha anche costretto il Governo a cambiare il testo, rilevando l’impossibilità di affidare ai dirigenti regionali dell’amministrazione statale la ripartizione degli organici (sulla materia si è espressa la Corte costituzionale con la sentenza n. 13/2004). Si tratta di cambiamenti importanti, soprattutto perché evidenziano la possibilità di una via alla razionalizzazione alternativa ai tagli imposti dall’alto. Regioni ed Enti Locali, una volta in possesso delle leve della programmazione dell’offerta formativa, sono infatti i soggetti più idonei e motivati a mettere in atto interventi per riorganizzare rete e risorse e per reinvestire nel sistema scolastico.


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