Unità: Domenica, lezione civile. «Così ridurranno l’istruzione pubblica»
Ieri l’Istituto comprensivo «Visconti» di Roma ha aperto per l’intera giornata le porte della scuola per informare genitori, alunni e docenti sui contenuti della riforma Gelmini
Ieri l’Istituto comprensivo «Visconti» di Roma ha aperto per l’intera giornata le porte della scuola per informare genitori, alunni e docenti sui contenuti della riforma Gelmini. E in tanti scoprono il bluff del governoStanno seduti nell’Aula magna della scuola dei loro figli. Un proiettore rimanda nero su bianco il testo della Finanziaria votata dal Parlamento, il contenuto del decreto Gelmini e quello del Piano presentato dal ministro ai sindacati. Il preside Pietro Persiani è un signore con i capelli bianchi e la barba che ricorda quella famosa pubblicità, «chi sono io, Babbo Natale?». Un sindacalista della Cisl con trenta anni di attività alle spalle. Ha aperto le porte dell’Istituto comprensivo Visconti di Roma malgrado sia domenica. Ha deciso, e sta pensando di proporlo a tutti i suoi colleghi, di dedicare un’intera giornata all’informazione. Parlare della Riforma Gelmini e della scuola che sarà. Così oggi è lui a fare lezione: «Ma tutto quello che vi dirò non è farina del mio sacco. Leggerò il contenuto di leggi e decreti, cioè di atti ufficiali. Vi racconterò la scuola che presto ci sarà perché è bene chiarirci su un punto: entro dicembre, se il governo non torna indietro, tutto quello che scoprirete leggendo queste documenti diventerà definitivo». Non vola una mosca nell’aula che all’improvviso diventa troppo piccola per tutta questa gente che, malgrado il sole, ha deciso di venire a scuola. Sullo schermo scorrono i tagli decisi da Tremonti: 456 milioni di euro nel 2009; 1650 nel 2010; 2538 nel 2011; 3.188 nel 2012. Molti genitori conoscono a memoria quelle cifre e le conseguenze che avranno, molti altri no. Si vede dalla faccia che fanno che iniziano a capire di cosa è fatta la riforma e da dove inizia: articolo 64 delle 133/2008. Tagli e riduzioni, insegnanti che non avranno più lavoro (cifre pari a dieci volte quelle Alitalia), ore di lezione che si stringono come maglie lavate ad una temperatura troppo alta. Un modello pedagogico e didattico che ci invidia l’Europa e che dall’anno prossimo non ci sarà più.
Dalle 10.30 alle 17.30 questo storico palazzo a due passi dal Pantheon che ospita classi dalla materna alle medie, brulica di genitori, nonni, alunni, docenti. Arrivano torte fatte in casa, dolci, pasta fredda, pop-corn e patatine. È saltato l’impianto elettrico delle scale, l’ascensore non funziona, ma nessuno sembra accorgersene. I bambini giocano in terrazza, vedono film, leggono libri.
Le maestre Giovanna Querqui, Marina Esposito, Leo Italia, Anna Ridolfi, Adelaide Masseroli, Cristina Palmeri e la vicepreside Bruna Piccirilli, rispondono alle domande, distribuiscono il materiale informativo, mostrano il lavoro svolto con i loro alunni. L’unico modo per far conoscere è trasmettere la conoscenza. L’offerta formativa frutto della «collaborazione e condivisione di responsabilità tra docenti», non è un concetto astratto, «è vita quotidiana», dicono.
È una giornata di lavoro e di domande che cercano una risposta, di un confronto a cui tutti si sottopongono tranne il governo. «Ho invitato le famiglie e le autorità preposte. il ministro Gelmini, l’assessore regionale, quello comunale e quello del primo municipio per un confronto aperto», spiega il preside. Ma il ministro non c’è, l’assessore comunale neanche. Ci sono quello regionale, Silvia Costa e quello del primo municipio, Sabrina Alfonsi. «Non so se dobbiamo fare un sit-in sotto il ministero per essere ricevuti», si chiede Silvia Costa che insieme ai suoi colleghi delle altre regioni ha più volte invocato un incontro con la titolare di viale Trastevere. Un incontro per porre questioni pratiche sul tappeto. Come si fa a garantire il tempo pieno di qualità senza risorse e senza insegnanti? Cosa succederà nel Sud d’Italia, «dove oggi il 95% delle scuole ha il modulo?». In quel Mezzogiorno dove il tempo pieno è attivo nel 5% delle scuole, il tasso di disoccupazione femminile più alto che altrove e i giovani lasciano la scuola prima di ogni altro loro coetaneo del resto del Paese. «Stanno mettendo in atto un cambiamento sociale enorme scaricandolo sulle spalle delle famiglie a colpi di decreti», dice Sabrina Alfonso. Famiglie senza più rete sociale, sole nelle grandi città, di più nel Sud del Paese.
Una domenica trascorsa a scuola chiarisce le idee più di mille telegiornali, commentano i genitori. Il maestro unico (ma sarebbe meglio parlare di maestra unica considerato che il 95% degli insegnanti è donna) che il ministro vuole riabilitare assume, per esempio, contorni chiari: sarà il «docente tuttologo».
Che la scuola non è quell’«ammortizzatore sociale» di cui parla il ministro Brunetta è chiaro a tutti coloro che la scuola la conoscono: insegnanti, genitori e alunni. « Se il ministro Gelmini fosse venuta l’avrebbe capito anche lei», dice Gabriella Bartolini. Se fosse venuta avrebbe scoperto un piccolo pezzo di quella scuola che vuole fare a pezzi. Avrebbe assistito, per esempio, all’esibizione del coro stabile del Visconti diretto dal maestro Alessandro Anniballi, una tradizione che affonda le radici a Parigi e sei edizioni del «Festival dei due mondi di Spoleto». Ex alunni (molti diventati musicisti) e alunni: tre generazioni che cantano insieme Mozart e Rossini.
Stanno seduti nell’Aula magna della scuola dei loro figli. Un proiettore rimanda nero su bianco il testo della Finanziaria votata dal Parlamento, il contenuto del decreto Gelmini e quello del Piano presentato dal ministro ai sindacati. Il preside Pietro Persiani è un signore con i capelli bianchi e la barba che ricorda quella famosa pubblicità, «chi sono io, Babbo Natale?». Un sindacalista della Cisl con trenta anni di attività alle spalle. Ha aperto le porte dell’Istituto comprensivo Visconti di Roma malgrado sia domenica. Ha deciso, e sta pensando di proporlo a tutti i suoi colleghi, di dedicare un’intera giornata all’informazione. Parlare della Riforma Gelmini e della scuola che sarà. Così oggi è lui a fare lezione: «Ma tutto quello che vi dirò non è farina del mio sacco. Leggerò il contenuto di leggi e decreti, cioè di atti ufficiali. Vi racconterò la scuola che presto ci sarà perché è bene chiarirci su un punto: entro dicembre, se il governo non torna indietro, tutto quello che scoprirete leggendo queste documenti diventerà definitivo». Non vola una mosca nell’aula che all’improvviso diventa troppo piccola per tutta questa gente che, malgrado il sole, ha deciso di venire a scuola. Sullo schermo scorrono i tagli decisi da Tremonti: 456 milioni di euro nel 2009; 1650 nel 2010; 2538 nel 2011; 3.188 nel 2012. Molti genitori conoscono a memoria quelle cifre e le conseguenze che avranno, molti altri no. Si vede dalla faccia che fanno che iniziano a capire di cosa è fatta la riforma e da dove inizia: articolo 64 delle 133/2008. Tagli e riduzioni, insegnanti che non avranno più lavoro (cifre pari a dieci volte quelle Alitalia), ore di lezione che si stringono come maglie lavate ad una temperatura troppo alta. Un modello pedagogico e didattico che ci invidia l’Europa e che dall’anno prossimo non ci sarà più.
Dalle 10.30 alle 17.30 questo storico palazzo a due passi dal Pantheon che ospita classi dalla materna alle medie, brulica di genitori, nonni, alunni, docenti. Arrivano torte fatte in casa, dolci, pasta fredda, pop-corn e patatine. È saltato l’impianto elettrico delle scale, l’ascensore non funziona, ma nessuno sembra accorgersene. I bambini giocano in terrazza, vedono film, leggono libri.
Le maestre Giovanna Querqui, Marina Esposito, Leo Italia, Anna Ridolfi, Adelaide Masseroli, Cristina Palmeri e la vicepreside Bruna Piccirilli, rispondono alle domande, distribuiscono il materiale informativo, mostrano il lavoro svolto con i loro alunni. L’unico modo per far conoscere è trasmettere la conoscenza. L’offerta formativa frutto della «collaborazione e condivisione di responsabilità tra docenti», non è un concetto astratto, «è vita quotidiana», dicono.
È una giornata di lavoro e di domande che cercano una risposta, di un confronto a cui tutti si sottopongono tranne il governo. «Ho invitato le famiglie e le autorità preposte. il ministro Gelmini, l’assessore regionale, quello comunale e quello del primo municipio per un confronto aperto», spiega il preside. Ma il ministro non c’è, l’assessore comunale neanche. Ci sono quello regionale, Silvia Costa e quello del primo municipio, Sabrina Alfonsi. «Non so se dobbiamo fare un sit-in sotto il ministero per essere ricevuti», si chiede Silvia Costa che insieme ai suoi colleghi delle altre regioni ha più volte invocato un incontro con la titolare di viale Trastevere. Un incontro per porre questioni pratiche sul tappeto. Come si fa a garantire il tempo pieno di qualità senza risorse e senza insegnanti? Cosa succederà nel Sud d’Italia, «dove oggi il 95% delle scuole ha il modulo?». In quel Mezzogiorno dove il tempo pieno è attivo nel 5% delle scuole, il tasso di disoccupazione femminile più alto che altrove e i giovani lasciano la scuola prima di ogni altro loro coetaneo del resto del Paese. «Stanno mettendo in atto un cambiamento sociale enorme scaricandolo sulle spalle delle famiglie a colpi di decreti», dice Sabrina Alfonso. Famiglie senza più rete sociale, sole nelle grandi città, di più nel Sud del Paese.
Una domenica trascorsa a scuola chiarisce le idee più di mille telegiornali, commentano i genitori. Il maestro unico (ma sarebbe meglio parlare di maestra unica considerato che il 95% degli insegnanti è donna) che il ministro vuole riabilitare assume, per esempio, contorni chiari: sarà il «docente tuttologo».
Che la scuola non è quell’«ammortizzatore sociale» di cui parla il ministro Brunetta è chiaro a tutti coloro che la scuola la conoscono: insegnanti, genitori e alunni. « Se il ministro Gelmini fosse venuta l’avrebbe capito anche lei», dice Gabriella Bartolini. Se fosse venuta avrebbe scoperto un piccolo pezzo di quella scuola che vuole fare a pezzi. Avrebbe assistito, per esempio, all’esibizione del coro stabile del Visconti diretto dal maestro Alessandro Anniballi, una tradizione che affonda le radici a Parigi e sei edizioni del «Festival dei due mondi di Spoleto». Ex alunni (molti diventati musicisti) e alunni: tre generazioni che cantano insieme Mozart e Rossini.
MARIA ZEGARELLI
ROMA
mzegarelli@unita.it